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La Storia

La presenza di Romagnoli a Roma è sempre stata consistente. In passato la Romagna, come numerose altre regioni italiane, registrava costantemente una eccedenza di braccia e di cervelli rispetto alle possibilità dell'economia locale, per cui è stato continuo il ricorso all'emigrazione. E Roma, che è stata per lunghissimi periodi anche la Capitale amministrativa delle terre romagnole, ha sempre rappresentato una meta preferenziale per il flusso migratorio.
La "corte" pontificia, con il numeroso seguito di famiglie cardinalizie e di varia nobiltà romana, offriva molteplici occasioni di sistemazione per persone fidate e laboriose. C'era chi si trasferiva in via definitiva e chi si spostava per occupazioni di carattere stagionale: soprattutto gente di ingegno, artigiani, domestici i primi, contadini e vignaioli i secondi.

Clement XIV 1E' soprattutto in occasione dell'ascesa al soglio pontificio di alcuni cardinali romagnoli che il flusso s'ingrossa ed offre a molti corregionali l'occasione, se non di fare fortuna, almeno di trovare una sistemazione dignitosa. Ben tre furono, in breve lasso di tempo, i papi romagnoli: il primo della serie fu Giovanni Francesco Vincenzo (fra' Lorenzo) Ganganelli di S. Arcangelo di Romagna, eletto papa nel 1769 con il nome di Clemente XIV (v. foto a lato). Seguirono poi, dopo la sua morte avvenuta nel 1774, due cardinali cesenati: Giovanni Angelo Braschi, eletto dopo quattro mesi di conclave con il nome di Pio VI, e Luigi Barnaba Chiaramonti, eletto papa nel conclave di Venezia il 14 marzo 1800 e morto nel 1823.
Senza dimenticare che già dal 1072 il ravennate
S. Pier Damiani (nato nel 1007 e proclamato dottore della Chiesa nel 1828) aveva ricoperto la funzione di cardinale-vescovo di Ostia, mentre altri due papi e precisamente Pio VIII (Francesco Saverio Castiglioni, 1761-1830) e Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti, 1792-1878), seppur non di origini romagnole, prima dell'ascesa al pontificato avevano retto diocesi in terra di Romagna, rispettivamente Cesena e Imola.

Ma il primo vero episodio di arrivo in massa si verificò il 25 novembre 1884, quando l'Associazione Braccianti di Ravenna, sotto la guida di Armando Armuzzi e di Nullo Baldini, si aggiudicò il subappalto dei lavori di bonifica dell'Agro romano, che prevedeva il prosciugamento delle paludi e degli stagni di Ostia, Fiumicino, Isola Sacra e Maccarese.
ScariolantiIl gruppo iniziale di 550 braccianti (50 squadre, ciascuna composta di 10 uomini e 1 donna) si trovò a combattere non tanto contro la dura fatica - cui erano avvezzi - del lavoro di badile e carriola (da cui il nome di "
scariolanti", (v. a lato foto del cippo presso il Monumento a Ostia Antica), quanto contro l'ostilità dell'ambiente rappresentata più di tutto dalla malaria. Essi pagarono un pesantissimo tributo di morti, che nei primi anni raggiunse anche il venti per cento e continuò a lungo anche dopo che il dottor G. Battista Grassi nel 1898, proprio ad Ostia, ebbe individuato l'agente della malaria (la zanzara anofele), ponendo così le basi per una corretta profilassi della malattia. Ma il sacrificio e la tenacia di quegli uomini resero fertili e produttivi i terreni un tempo abbandonati.
Seguirono le bonifiche di Maccarese, poi quella pontina diretta dall'Opera Nazionale Combattenti e realizzata in prevalenza da contadini veneti e romagnoli. Fu quella l'occasione per un'altra massiccia ondata migratoria: nel luglio-settembre 1939 tremila contadini romagnoli giunsero a coltivare le terre bonificate di Tor San Lorenzo, Pratica di Mare, Ardea, Santa Palomba, Aprilia e popolarono la nuova città di Pomezia. Oggi i romagnoli di Pomezia sono oltre 6.000 (e molte migliaia in tutto l'agro pontino) ed il nucleo dei fondatori conserva ancora memorie ed usanze romagnole, fra cui peculiare la tradizionale ospitalità.

Mentre le comunità romagnole del litorale e dell'agro laziale conservarono nel tempo la propria identità, va detto invece che i romagnoli di Roma non ebbero mai la tendenza a riconoscersi come "gruppo" o come "nazione", a differenza di altri, come per esempio i bolognesi, che ebbero la loro chiesa ed il loro ospizio. Come nella loro terra di origine è sempre mancato un centro di aggregazione, così anche a Roma permane lo spirito individualista che porta i romagnoli a vivere isolati o, tutt'al più, a stabilire qualche rapporto di aggregazione con chi proviene dalla stessa città.
Negli anni Venti, l'avvocato
Antonio Orlandi (Forlì 1877 - Roma 1972) diede vita ad una associazione, la "Famiglia romagnola", con l'intento di coagulare, ma gli intenti erano più formali che sostanziali e con una visione prettamente nostalgica, i romagnoli della Capitale. Ma il clima politico non era favorevole. Nonostante l'adesione iniziale anche di numerosi gerarchi fascisti, ad un certo punto le associazioni regionali dovettero cedere alle direttive del regime, per il quale tutto ciò che sapeva di particolare, di folclore, di dialetto era riprovevole e contrario al proprio carattere nazionale e monolitico. Così, anche a seguito di un autorevole "consiglio" dello stesso Mussolini, verso la fine degli anni Trenta l'autoscioglimento sanciva la fine dell'esperienza associativa.

Mad Fuoco Fusignano 4L'idea rinasce nel secondo dopoguerra. Superando a fatica il naturale individualismo, un gruppo ristretto dà avvio, ancora senza alcuna formale costituzione associativa, ad una serie di incontri. L'occasione era scaturita dagli incontri annuali del 4 febbraio, festa della Madonna del Fuoco, protettrice della città di Forlì (v. foto a lato), che erano stati promossi già dall'immediato dopoguerra nella chiesa di San Marcello al Corso, che conserva il dipinto commemorativo dell'evento miracoloso in una settecentesca cappella, dedicata dal forlivese cardinale Fabrizio Paolucci de' Calboli a S. Pellegrino Laziosi, egli pure di Forlì e gloria dell'Ordine dei Servi di Maria, che conduce tuttora il luogo di culto.
Tra alti e bassi, e sempre cozzando contro l'insensibilità diffusa tra i romagnoli della base romana e l'indifferenza dei vertici istituzionali della regione d'origine, l'idea associativa continuò a svilupparsi, ma ancora senza risultati concreti. Nonostante l'incoraggiamento convinto di personaggi istituzionali di primo livello - basti citare autorevoli parlamentari della vecchia generazione quali
Giovanni Braschi, Cino Macrelli, Aldo Spallicci, Arrigo Boldrini e poi Benigno Zaccagnini, Stefano Servadei, Gino Mattarelli, per non tacere di Gilberto Bernabei, alto funzionario della Presidenza del Consiglio - le idee organizzative del primo gruppo di volenterosi rimasero relegate nel limbo delle aspirazioni per diversi anni. Se già nel 1956 venivano messe a punto le basi per una organizzazione stabile, in grado di superare i settarismi cittadini e di promuovere attività di carattere unitario, bisognerà aspettare il dicembre del 1966 per vedere più concretamente realizzata l'idea di ricostituzione della Famiglia romagnola, sotto l'impulso determinante del deputato forlivese Gino Mattarelli.

Dal febbraio 1969 la Famiglia romagnola ha potuto finalmente disporre di una propria sede e di una segreteria organizzativa ed ha iniziato la propria attività per individuare e contattare il maggior numero possibile di aderenti. Già dalla fase iniziale si sviluppano, accanto alla linea tradizionale delle riunioni conviviali, numerose attività di un certo rilievo, quali l'autopresentazione dei comuni di Romagna (in primo luogo le "sette sorelle": Ravenna, Forlì, Imola, Faenza, Lugo, Cesena e Rimini), l'illustrazione delle principali cantine aderenti al movimento del "Passatore-Ente Tutela vini di Romagna", incontri con personalità della cultura romagnola e della vita romana.
E' in questo periodo che nasce il
CEVAR (Centro di Valorizzazione Romagnola) formalmente costituito come "braccio operativo" del raggruppamento romagnolo con atto notarile il 10 maggio 1973, e risorge anche ufficialmente, dopo la forzata soppressione, la "Famiglia romagnola", con atto del notaio Massimi del 14 aprile 1977, con la finalità di valorizzare l'apporto della presenza romagnola in Roma in ogni epoca.
Da allora ha inizio per la Famiglia Romagnola una attività regolare che continua tuttora, caratterizzata da incontri estemporanei e periodici, per soddisfare gli scopi istituzionali che si è data al momento della costituzione.

La vita associativa negli ultimi quarant'anni ha visto momenti di esaltante vitalità –anni ’70-’80 - (dovuta in particolar modo all'impegno instancabile di Armando Ravaglioli e del Presidente On. Gino Mattarelli e durata fino all'improvvisa morte, avvenuta nel 1986, di quest'ultimo), periodi di faticosa sopravvivenza – anni ’90 - (durante i quali solo l'energica e indomita volontà di pochi ma soprattutto del Dott. Giovanni Gatti, il compianto Presidente Onorario deceduto il 2 novembre 2004, ha consentito di tenere alta la bandiera e non cedere allo sconforto), seguiti sempre comunque da azioni di recupero e di fiduciosa ripresa.